L’altra faccia dell’invidia

Tutti nella vita siamo stati invidiosi. Adesso che si avvicinano le ferie questo fenomeno è molto più accentuato perché ovviamente a seconda del portafoglio le mete cambiano e altrettanto ovviamente si penserà in modo invidioso a qualche meta migliore della nostra. Credo che sia più che naturale, fa parte dell’essere umano e tutto sommato è una cosa verso la quale non ci vedo niente di male. A patto che sia un’invidia sana. Cosa vuol dire sana? Bene, è un discorso piuttosto complesso, perché è ossimorico all’inverosimile: come può una cosa che è definita persino come uno dei peccati capitali, essere in qualche modo sana e, mi spingo oltre, addirittura positiva?

L’invidia è positiva quando oltre ad essere provata, viene presa in considerazione e poi accantonata. Facciamo un esempio: l’impulso che genera l’invidia è “il mio amico guadagna più di me”, quindi considero l’impulso, perciò lo elaboro chiedendomi quale sia il modo più intelligente per guadagnare tanto quanto lui (o anche di più) e dopodiché lo accantono, perché sto già lavorando per aumentare il mio stipendio. Finito. Questa è un’invidia sana, perché può essere incanalata verso una via che migliora il tuo io e le tue condizioni prima di tutto personali, ma anche economiche nel caso specifico. Allora vedete che oltre ad essere sana è persino positiva? Diventa essa stessa la propulsione, la scintilla che opportunamente controllata genera un valore aggiunto e parte tutto da un impulso che ha natura peccaminosa e invidiosa. La sfida sta poi alla persona stessa: accetti la tua stessa provocazione (perché e a te che rode il fegato in quel momento), oppure ti siedi e ti amareggi? Le strade sono queste due. E rappresentano proprio le due facce dell’invidia.

Perché l’invidia nell’accezione comune che ne abbiamo si ferma esattamente al primo punto, distorce il secondo, esagera il terzo. In modo palesemente malato. Rifacciamo l’esempio di prima: l’impulso che genera l’invidia è sempre lo stesso “il mio amico guadagna più di me”, quindi considero l’impulso, ma lo faccio in modo distorto perché lo elaboro senza farmi domande, anzi parto già con una risposta, per esempio “è semplicemente un leccapiedi, non ha alcun merito” che attenzione, non è detto sia vero o falso, ma non mette in discussione noi stessi! L’impulso invidioso nasce da noi e non può trovare pace in risposte che arrivano da altri. E dopodiché lo accantono, ma esagerando, perché non solo non ho risposte che mi aiutino, ma rimango persino a rodermi il fegato. Finito.

Questo tipo di invidia malata è davvero un peccato perché in primo luogo non offre alcun spunto per migliorare noi stessi, ma peggio ancora è dannosa perché adesso abbiamo un peso legato al fegato e nessuna soluzione in mente. Paradossalmente stiamo peggio di prima per esserci fatti una domanda ed esserci dati una risposta che ritenevamo presuntuosamente giusta. Perché forse ci fa comodo. Ecco io noto che più vado avanti con l’età e più quest’invidia malata è marcata, mi lascia perplesso tale atteggiamento che spesso abbiamo nei confronti di chi sta meglio di noi. Questo modo di pensare marcio ha creato una vera e propria fabbrica del rancore, che io non sopporto affatto. Non posso sapere se questo atteggiamento deleterio esista solo in Italia, ma c’è una cultura del merito che è del tutto inesistente e questo impedisce di ammettere che esistano persone che possano essere benestanti in modo onesto e che asserisce che i ricchi siano un ammasso di persone rivoltanti.

Così allora confermo che l’invidia è veramente qualcosa di abominevole, perché oltre a non fornire spunti di riflessione utili, oltre a farci male al fegato, rovina anche i rapporti tra le persone.

Perché non crediate che chi invidia in grande non invidi anche in piccolo. L’esempio che ho fatto prima è banale, ma proprio per questo ci torna utile ora “il mio amico guadagna più di me”, se lascio decantare nel fegato questa invidia, aggiungerò altre cose che non c’entrano nulla come per esempio “non se lo merita affatto” e inizierò a guardarlo male, pensando che “io merito molto più di lui che non fa un bel niente” e arriverò a pensare che “questo mio amico fa schifo”. Pensiamoci, davvero, quante volte abbiamo provato tutta questa deviazione dell’invidia e ci siamo rimasti male? E perché lo abbiamo fatto? La risposta è oltremodo semplice.

La verità, e l’ho accennato prima, è che fare così è decisamente più comodo. Diciamocelo: quanto è più comodo invidiare chi ha un bel fisico, anziché impegnarsi a mangiare bene e magari allenarsi? Quanto è più comodo invidiare e maledire chi ha un sacco di soldi, al posto di smetterla di piangere e concentrarsi su come farli? Quanto è più comodo sminuire l’operato degli altri, soprattutto nel lavoro, al posto di apprezzarlo o per lo meno, sbattersene e pensare a coltivare il proprio orto? La risposta è che tutto ciò è infinitamente più comodo. Escludere che anche gli altri possano avere dei meriti, a prescindere che questo sia vero o meno, ci impedisce di trovarli qualora essi esistano sul serio e dunque di cercare di trarne un insegnamento, un impulso vero e proprio verso l’auto perfezionamento.

E allora che cosa si preferisce fare? Si sta seduti, amareggiati, imbronciati, pompando fiumi di rancore verso chi sta meglio di noi. Sappiate una cosa: atteggiamenti del genere non portano da nessuna parte, si sta fermi in una situazione che fa anche stare male mentalmente e che non aiuta né noi né nessuno al mondo. Siamo sicuri che sia davvero così comodo? Forse è davvero molto più facile puntare il dito contro il prossimo e marcire dentro da quanto si rosica, al posto di guardarsi allo specchio e cercare di mettersi in discussione, con una buona dose di autocritica, arrivando persino ad ammettere di poter far di meglio, accogliere la sfida e almeno provare a farlo. Sì penso proprio che sia così. E forse è esattamente per questo che molti di noi non conoscono l’altra faccia dell’invidia.

El Platün – autore

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